teatri di periferia

teatridiperiferia

Amo i teatri di periferia. Per maggiore precisione, amo gli ex-capannoni delle periferie urbane delle grandi città trasformati in teatri.
Ieri sera ho avuto modo di conoscerne e viverne uno, disperso ai margini della bella Torino, nascosto dietro portoni in metallo e vetro satinato, silenziosamente ospitato dal cortile interno di una palazzina immagine dell’urbanizzazione anni cinquanta: quella post-bellica, quella che non badava all’estetica ma alla praticità e alla sostenibilità dei costi, quella che vedeva nella solidità del cemento la garanzia della stabilità futura; quella che ancora non guardava in faccia – per giustificata ignoranza, forse, non per scelta deliberata – l’amianto delle coperture dei tetti dei garage; quella delle saracinesche in lamiera, che nella ruggine avevano intrinsecamente scritto il loro destino; quella delle colonne portanti, ad assolvere il compito che oggi l’estetica ha ormai integralmente affidato ai muri perimetrali.
E quella colonna c’era, lì in mezzo, a segnare lo spartiacque con un palcoscenico in legno meticolosamente assemblato dalle mani preziose di chi ha, in sè, il coraggio imprescindibile di chi vuole portare l’arte e la cultura nei luoghi più difficili; c’era, quella colonna, a far correre lungo il suo profilo i cavi delle luci di scena e di una sala corta quanto il respiro che dall’ultima fila della sala viene nitidamente percepito dal palco; c’era, a sostenere il telo semitrasparente di proiezione – telo impreziosito da una smagliatura che su una calza di donna verrebbe vista con velato disappunto e che, invece, lì aveva tutta la forza di chi resiste ostinatamente alla sistematica deplezione di fondi alla cultura e al teatro. «E poi è arrivato Ronconi, e si è portato via tutto» è il commento più ovvio, di fronte a tanti gruppi teatrali che arrancano, a ripensare ai miliardi dilapidati per incapacità di progettualità e di comprensione delle necessità di tutti anziché solamente delle ambizioni di pochi; miliardi dilapidati specchio delle “grandi opere” all’italiana, specchio di quella incapacità di sostenere il benessere quotidiano dei cittadini con tante proposte culturali piccole, varie e di qualità anziché cattedrali nel deserto buone solo a riempire le prime pagine dei giornali.
Che bel noir ho visto ieri sera, sospeso tra melò e poliziesco ma soprattutto arricchito di un bello spaccato, recitato e proiettato, degli States degli anni cinquanta. Che belle riflessioni e che bel confronto, dopo lo spettacolo, con gli artefici della bellezza di questo piccolo non-luogo di perfieria, di questa piccola resistenza culturale quotidiana.

Pensavo, luoghi come questo sarebbero la cornice perfetta per un incontro tra blogger davvero piacevole. Ma forse è andata proprio così.

25 thoughts on “teatri di periferia

  1. quel telo e quelle immagini di una newyork gangsteriana mi ricordano qualcosa….a pensarci bene in effetti ieri sera Torino era un po in bianco e nero, nella sera piovosa nella quale ci addentravamo incerti io con altri due personaggi in cerca di attori…
    un bel noir, une belle soir!

    "Mi piace"

  2. Allora, organizziamolo questo incontro tra blogger. Facciamo vivere questo capannone, che tenta di reinserirsi nel cuore di questa estrema periferia, in un nuovo modo, e che conserva una manualità artigianale, unita ad una necessaria e giusta attenzione ai nuovi media.

    "Mi piace"

    • beh, ma a questo punto facciamo trentuno e aggiungo anche un link nei tags, sennò rimangono tante belle parole e poi uno che vuole andare lì rimane con la cartina in mano e si domanda da che parte andare (ehm… ma forse è successo anche questo ;))
      (ah, tra l’altro non ti avevo detto: le prove generali le facemmo in un supermercato di torino, ma lì non ci fu nessuno “slancio”…)

      "Mi piace"

ammennicoli di commento