confessioni sentimentali di una post-adolescente del nuovo millennio

altanOvvero: “non vorrei aver commesso un’imprudenza, a nascere donna” (cit.).

Come a tutti i pendolari, mi capita inevitabilmente spesso di imbattermi coattivamente nelle conversazioni dei vicini di viaggio, a meno di metodi preventivi  di isolamento quali ad esempio la musica in cuffia a discreto volume. La conversazione di ieri mattina tra due ragazze poco più che maggiorenni recita più o meno come segue (più più che meno, dato che per non incappare nelle distorsioni della memoria ho trascritto testualmente i passaggi, su un foglio, in tempo reale).

Ragazza 1 (la protagonista). «E di <Tizio> non ti ho detto, vero? Mi ha lasciata, sai?»
Ragazza 2 (la “spalla”). «Noooooooo! Ma come è succeso, raccontami!»
Ragazza 1. «Guarda, è stato uno stronzo. Ma quello che mi prende per il culo deve ancora nascere!»
Ragazza 2. «Cioè, cioè?!?»
Ragazza 1. «Ultimamente mi diceva, sempre più spesso, che la sera non aveva voglia di uscire, che voleva stare a casa, e poi sai cosa scopro?!? Che mi raccontava una palla e se ne andava fuori con le sue amiche.»
Ragazza 2. «»
Ragazza 1. «Beh, io gliel’ho detto, che l’avevo scoperto, e sai lui che mi dice? “Beh, ma che male c’è? Sarò andato qualche volta a bere una birra”. Bene, gli dico io, nessun problema, allora esco anch’io con i miei amici. “Eh no”, mi dice. E perchè no?, gli rispondo, ma scusa: tu esci con le tue amiche e io non posso uscire con i miei amici? E sai lui cosa dice?!? “Eh ma, è diverso: tu sei una donna.»
Ragazza 2. «»
Ragazza 1. «Beh, insomma, una sera ho chiamato <Tizia> che è venuta a prendermi in macchina e ho deciso di seguirlo. L’ho trovato al bar della Guinness, hai presente?, con tre donne, a una teneva il braccio sulla spalla, un’altra lo mangiava con gli occhi, sai cosa vuole dire lo mangaiva?,  e la terza che sarà stata venezuelana, perché era scura e parlava in spagnolo. E allora sai cosa ha fatto, io? Mi sono presentata lì davanti a lui, e gl ho detto, io che non so lo spagnolo: “Hola, chico! Queste sono le tue amiche, eh?!? Sappi che questa è l’ultima volta che mi vedi!»
Ragazza 2. «E lui?!?»
Ragazza 1. «E lui ha biascicato qualcosa: “Nooo, ma scusa, dai, bla bla…”»
Ragazza 1. «E quindi?»
Ragazza 2. «E quindi niente, io per tre giorni non l’ho chiamato, poi mi ha chiamato lui, evidentemente si è reso conto… e, insomma, fatto sta che al telefono mi ha lasciato!»
Ragazza 1. «Macchestronzo!»
Ragazza 2. «No ma guarda, ti giuro, io piuttosto divento lesbica. Dimentico uno stronzo, passa un anno e ne arriva un altro… checcazzo, ho la calamita!»

Mah, forse il post potrebbe anche finire qui, con la semplice e provocatoria domanda: “Ma solo a me c’è qualcosa, anzi più d’un qualcosa, che non torna?”. La mia riflessione a caldo (ed io, donna, non sono) nel momento in cui subivo la conversazione è stata, cinicamente, che quantomeno da una certa frase in avanti c’è stato uno spreco di benzina (quella necessaria ad arrivare al pub) e almeno una telefonata di troppo, se proprio vogliamo lasciar perdere lo stereotipo sull’omosessualità e quello sulle nazionalità che potrebbero essere tranquillamente argomenti di un post a sé. Ma no, non è solo questione di cinismo o, capirei se lo pensaste, spocchioso atteggiamento di superiorità da adulto ormai distante da tempo dalle vicissitudini amorose adolescenziali.
Il fatto è che non riesco, fermandomi a riflettere, a non rimanere con un grande punto di domanda. Mi imbatto sempre più spesso in questo tipo di conversazioni: non so se siano peculiarità del nuovo millennio, accentuate nel nostro tempo rispetto alle generazioni precedenti, oppure abbiano trasversalmente caratterizzato le ere di una cultura comunque maschio-centrica. Del tempo in cui vivo ho la percezione che stia emergendo, certo, una consapevolezza, quella che la violenza di genere sia molto più frequente di quanto non si immagini; ma rimango anche con un grande amaro in bocca: che l’argomento inizi a riguardare uomini e donne solo a partire da una certa età in avanti. È facile dedicare rotocalchi, telegiornali e pagine di giornali a vicende di femminicidio (è garanzia di audience, Eros e Tanathos non tradiscono mai), è (forse) più facile discuterne a trenta, quarant’anni anziché a quattro, otto, dieci, dodici anni.

Il mio grande interrogativo e la grande amarezza stanno in questo, in una cultura e in una forma mentis che nasce e che alimentiamo (o quantomeno che non facciamo nulla per ridurre) fin dalla culla: una violenza nei confronti delle donne che è, prima ancora che fisica, culturale, verbale, ontologica e causalmente maschile; è nelle nostra lingua, nei nostri lemmi, è qualcosa di cui ormai non ci accorgiamo neppure, talmente ci siamo assuefatti; è un approccio educativo che mi chiedo quanto, nelle piccole cose, davvero si distingua rispetto a quello di cent’anni fa.

47 thoughts on “confessioni sentimentali di una post-adolescente del nuovo millennio

  1. poco, si distingue solo nelle pratiche questioni formali. nella sostanza il mondo è ancora, per la maggioranza, abitato da persone che per cultura, ignoranza, comodo, sesso, sono fondamentalmente maschiliste. e le donne che non vogliono essere trascinate in questo vortice fanno una fatica bestia a restare con la testa fuori dall’acqua.

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    • sì, che sia atavicamente così ne sono abbastanza convinto anch’io. quello che mi domando è – almeno nel contesto che conosco meglio, quello del nostro paese – se non ci sia stata una “finta inversione di tendenza” che quelle questioni formali stanno solo apparentemente mascherando.

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  2. Non se se è perché io ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia/contesto culturale particolarmente favorevole ma gli uomini che pure mi hanno spezzato il cuore non hanno mai esercitato su di me questo tipo di violenza di cui parli tu. Mi spiego meglio, credo che tutto si riallacci alla questione annosa dell’ignoranza, rispetto a se stessi e alle cose del mondo: un ignorante è debole ed indifeso ed è questa la chiave reale per superare l’ostacolo. La mia idea sarà riduttiva e semplicistica ma, date alle donne una pila di buoni libri, vedrete che nessun uomo riuscirà a fargli arrivare uno schiaffo.

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    • Credo che questo non si possa più pensare. È la cosa che più mi fa arrabbiare. I libri ce li abbiamo, ora dovremmo aprirli e leggerli.
      Io ho un’eta’ … ho visto diversi cambiamenti, ora vedo un’inversione di tendenza: frasi, immagini, atteggiamenti che mai si sarebbero potuti accettare anni fa, quando i movimenti delle donne erano un riferimento, sdoganati, inseriti nell’insieme “libera di fare…”
      Ho a che fare con i bambini e le bambine tutti i giorni e sento cose che io bambina, quaranta anni fa, mai avrei potuto nemmeno pensare di accettare. C’ è qualcosa che non torna.

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      • C’è molto che non torna, molto in questa storia, molto di vero in quello che dice menteminima, e c’è anche l’altro lato del problema. Non solo la retorica maschilista che si abbatte sulle donne, ma anche la cultura del machismo sdoganato da media che hanno riportato in cima al mondo l’immagine dell’uomo forte e di successo… leggiamoci le sinossi su amazon dei libri erotici in rosa che vendono così tanto: priscillasticazzi di anni 30 è insoddisfatta e incontra cicciominchia di anni 50 che finalmente la scopa forzosamente sulla scrivania e lei si sente liberata… qualcosa di grosso non torna, menteminima, hai mille volte ragione. Non torna il fatto che a un certo punto la parola libertà ha preso significati semplicistici e stupidi: per una donna quello di cercare un padre invece che se stessa, per un uomo quello di picchiare nel mucchio per conquistare la femmina.
        Ma va bene così presumo. Va bene nei telefilm, quindi va bene per tutti, no?

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      • c’era un vecchio post di mr. incredibile che riassumeva splendidamente il concetto, la differenza tra “libertà di” e “libertà da”. la mia sensazione è che stiamo formando culturalmente alla prima, facendoci credere che basti dire la frase “io non mi faccio mettere i piedi in testa” per essere liberi, ma non alla seconda.

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      • inteso, hai la capacità di esemplificare che invidio. “per una donna quello di cercare un padre invece che se stessa, per un uomo quello di picchiare nel mucchio per conquistare la femmina.”: non è il contesto, ma un giorno scriverò qualcosa di più approfondito su questo; ci sono parecchi studi al riguardo. c’è molto di innato, c’è una predisposizione “biologica” che può essere limitata come, invece, esplodere incontrollata.

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    • vorrei crederlo, ma non sono sicuro che sia sufficiente. in questo sono abbastanza in linea con menteminima: i libri ci sono ma ho il dubbio che, per usare un traslato, siano scritti in inglese quando per una vita mandiamo tutti (uomini e donne) a scuola di italiano. è davvero così secondario il contesto familiare in cui si nasce e cresce? personalmente, ho visto grande rispetto anche in contesti di grande ignoranza culturale e viceversa grande povertà umana anche in contesti in cui gli strumenti formativi non mancavano.

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      • Commento tardi (perchè credevo di averlo fatto! ecco come sto!) e ormai rivedo quanto avrei voluto dire, espresso in molti commenti. Quello di MM e IM i più vicini.
        E aggiungo che anche quando il contesto famigliare c’è, deve comunque lottare contro una dilagante ignoranza sociale.
        Per far passare un buon concetto a mio figlio devo farmi esempio e guerriera implacabile.
        E questo vuoi perchè è più facile la scuola di Lucignolo che quella del Grillo parlante, vuoi perchè si diventa spesso gregari del male perchè fa più presa per la sua intrinseca capacità di tenere sotto scacco.

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      • arduo compito, grazia: i genitori sono poi in fondo solo uno dei tanti modelli che i figli hanno di fronte e dai quali scelgono di attingere, su cui scelgono (consapevolmente o inconsapevolmente) di costruire la propria identità. arduo compito, quando la collettività rema dalla parte opposta.

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      • OT. Ma la sai la cosa che mi stupisce di più?
        E’ che quando parlo con gli altri genitori sento che questa cosa la vivono con fatica vera e qualche volta, sento anche delle avvisaglie di cedimento.
        In verità è arduo si, ma io confesso che mi piace molto questa “fatica”. E’ proprio questo “studio delle leve” che mi attrae da pazzi nel rapporto con mio figlio! 🙂

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  3. come madre ho sempre sentito la responsabilità di insegnare ed educare i miei figli maschi al rispetto delle donne. come donna posso dirti che la mentalità maschilista purtroppo non è radicata solo negli uomini, ma anche in tutte quelle donne che non hanno il coraggio di ribellarsi e pretendono lo stesso atteggiamento da chi invece vuole superare pregiudizi e stereotipi che condizionano la nostra libertà fin dalla nascita. scusa il commentone/pippone, ma l’argomento mi coinvolge fin troppo.

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    • questo è l’altro aspetto, che non ho toccato per un motivo molto semplice: mi limito all’autocritica “nei confronti della categoria genere-maschile”, passami il termine. anch’io, in realtà, sono convinto di quello che tu scrivi: ho lavorato, e lavoro, parecchio con il teatro su questo aspetto. l’oppressione delle donne nei confronti delle altre donne (saghe familiari che si perpetuano…) o di se stesse non è meno grave – e non è nemmeno detto che sia più facile opporvisi.

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      • ho appena avuto una interessante discussione con mio figlio, che per farmi un complimento aveva detto…ormai mamma è diventata un uomo. ho spiegato a lui, ma sopratutto alla mia figlia più piccola che se una donna con il tipo diventa più forte è semplicemente perché con l’esperienza ha scoperto e maturato la consapevolezza di quanta energia abbia in sé, semplicemente perché è donna. senza nulla togliere ai maschietti, ma per carità…non potrei sopportare l’idea di dovermi depilare il viso ogni giorno! 😉

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        • brava, é il principio in base al quale dovremmo abolire espressioni tipo “è una dona con le palle”, come dice la mia amica arikita, anzi, come dite voi: “co’ cojoni e controcojoni”
          (p.s. ma non sai che ora va di moda la barba?) 😀

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  4. Partendo presupposto che:
    A) io son un “pelo” più che maggiorenne
    B) ho una pessima opione dei maschi (notare che ho usato maschi non uomini)
    C) ho un sacco di amici uomini
    D) Sospetto che in Italia ci sia una maggioranza di maschi e una minoranza di uomini
    E) la frase della ragazza 2: «No ma guarda, ti giuro, io piuttosto divento lesbica. Dimentico uno stronzo, passa un anno e ne arriva un altro… checcazzo, ho la calamita!» l’ho detta un sacco di volte.
    F) Non son diventata lesbica solo perchè son etero non pentita
    G) al momento ho optato per “meglio soli che mal accompagnati”

    dopo tutti questi presupposti sospetto e imputando le loro colpe ai maschi, ahimè devo darne anche alle femmine e alle donne, che allevano nella cultura sessista le loro stesse figlie e insegnano ai loro figli maschi la stessa cosa, e te lo dico io che spesso incosapelvomente ho fatto lo stesso errore con mia figlia… però credimi lentamente, poco e non alla velocità che vorrei, ma le cose non sono più come 100 anni fa.
    L’importante è non adagiarsi e andare avanti….

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  5. oltre quanto già detto negli altri commenti io rimango basito sul fatto che “sia stato lui a lasciare lei chiamandola dopo 3 giorni” … cioè il ragazzino voleva cmq avere l’ultima parola… magari per dire agli amici: “l’ho mollata io”… ma anche lei che dice “per tre giorni non l’ho chiamato” sembra quasi che aspettasse la sua chiamata per “chissà forse si pente e possiamo continuare la storia”

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    • l’ho pensato, mi sono fermato prima di qualunque illazione. sentendo parlare le due ragazze, quel “lui che molla lei” è stata la chiosa ovvia, quasi attesa, di una dinamica malata di cui in quel momento avevo l’impressione che la ragazza in questione non avesse, ma neanche lontanamente, consapevolezza. ma penso che questo si sia intuito…

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    • grazie, soprattutto ai commenti. mi hai fatto pensare ad una cosa: sui luoghi, sulle diversità culturali (religiose, in primis) mi chiedo spesso quanto sia facile criticare l’erba del vicino: un po’ provocatoriamente, mi chiedo, ad esempio, il burqa è meno lesivo della dignità di una donna di quanto accadeva fino a una virgola d’anni fa (ma dire venti, è tanto) in alcuni paesi italiani in cui si doveva esporre il lenzuolo macchiato di sangue dopo la prima notte di nozze? o l’unica differenza, in fondo, sta solo in qualche migliaio di chilometri e, appunto, in una manciata di anni?

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      • ma sai, quello è ancora “niente”. quando ti ho risposto avevo nella mia testa le bambine sottoposte a mutilazione del clitoride ed a cuciture della vagina da sveglie e con sistemi a cui non oso pensare, ma purtroppo ci penso. ecco, in questi casi a me viene davvero una nausea molto vicina ai conati, non solo per la crudeltà del dolore fisico inferto, ma per il privare, a vita, un essere umano della sua sessualità, dove anzi uno dei pochi piaceri di quest’esistenza, diviene ogni volta un supplizio (senza considerare tutti i figli che dovranno partorire volenti o nolenti). scusami ADP, ma per andare avanti in questa vita, mi impongo di pensare a chi sta davvero peggio (e mi infurio per un mondo cieco e sordo e volgare e prepotente, ecc. ecc. ecc. anche per comportamenti ‘minori’). il mio, però, è un po’ un deragliamento; ho davvero apprezzato il tuo post e ti ringrazio di nuovo, sinceramente. buona serata

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        • ma no, altro che deragliamento, anzi, grazie davvero a te per il contributo. su certe cose c’è davvero da sbatterci la testa, e in questo caso, relativizzare è tutt’altro che improprio (e indignarsi, denunciare, informare, agire, che non sono meno importanti. sull’argomento, tra parentesi, c’è un campagna internazionale in corso, se cerchi in rete trovi facilmente)

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  6. Io, più che di sessismo e maschilismo, parlerei di alterazione e deviazione dei valori e principi morali che, sì, okay, non può decidere nessuno – solennemente – debbano essere in un modo o in un altro, ma che penso sia naturale immaginare secondo determinate linee guida (come rispetto, autostima, educazione, empatia, etc.) imprescindibili. Voglio dire, c’è pochezza, vacuità, da tutte le parti, da entrambe le parti, percepisco un’accettazione disillusa di ruoli sballati e approssimativi, nessuna particolare rivendicazione o lotta, non vedo nemmeno specifica prevaricazione, solo accettazione passiva, non è maschilismo, non è sessismo, non è più nemmeno femminismo, è molto peggio, è disinteresse, è totale perdita di contenuti, è svalutazione e crollo della qualifica di intere nuove post-adolescenziali (e non) generazioni. Toc toc, McFly, c’è qualcuno in casa?

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    • (ahahah! la chiosa mi ha fatto molto ridere, ci vuole un po’ di leggerezza)
      può essere, forse alla radice è vero che ci sia del disinteresse – o indifferenza, o accettazione dello status quo, o povertà di spessore, ci può stare tutto. però… però non so, sai, non sono convinto fino in fondo che non esista (anche) una componente che non si può chiamare in altro modo se non “maschilismo”. conosco bellissime persone (uomini, intendo), impegnate socialmente, attente, scrupolose, “educate”, splendidi padri di famiglia, grandi valori, grandi ideali… che però, su alcuni aspetti, sono lontani anni luce dalla mia idea di rispetto della donna, come se ci fosse una sorta di soglia oltre la quale non ci s’arriva. e, ripeto come dicevo qualche commento fa, a volte è davvero questione di piccole cose. so che è un po’ difficile da spiegare, ma mi è tornato in mente un post del cactus che sono andato a ricercare: http://mododidire.wordpress.com/2014/01/03/una-bambina-speciale/

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  7. Avete tutti ragione. Io credo solo che abbiamo smesso di sognare ad occhi aperti, che purché ci sia qualcuno con cui scopare e andare a ristorante vanno bene tutti, che non ci sia la minima ricerca vera della persona giusta con cui stare, ma solo del collezionismo, spesso. Col risultato che poi da giovane collezioni cazzate, più avanti ti trovi in un matrimonio che forse non volevi.

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  8. ormai la campagna per le primarie è passata, quindi posso dirlo senza problemi: qualcuno parlava di “questione maschile”.
    era l’unico e, se non ci fossero state decine di altre ragioni, sarebbe bastato questo per dirmi chi sostenere.

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  9. Sono perfettamente d’accordo. Il modo in cui i due sessi si rapportano, come le donne vengano considerate, vissute, percepite, non è oggetto di educazione post-adolescenziale. Semmai a quell’età si può fare un’azione di riabilitazione. I bambini respirano nella famiglia, nell’ambiente d’origine le interazioni uomo-donna (come tutto il resto d’altronde) e nelle parole dei bambini/adolescenti/giovani adulti, si scorgono i danni che la nostra cultura millenaria ha fatto in questo ambito. Poi il tuo post è ricco di spunti per argomenti interessanti, anchi l’affermazione “piuttosto divento lesbica” è interessante

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    • hai colto perfettamente: anche secondo me quello che percepisci in casa, fin da piccolo, è ciò che rimane nel tempo e che è tanto più difficile da destrutturare quanto più è radicato nella notte dei tempi. perché per un approccio relazionale dovrebbe valere una regola di apprendimento diversa da quella, ad esempio, della lingua? come si impara a dire “ciao” così si impara a dire, che so, “questo lo fa lei perché è donna”.
      (sull’altro argomento ci vorrebbe un post a sè, decisamente)

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  10. c’è, se vuoi, e questo è un punto di osservazione che prescinde dalle tue condivisibili argomentazioni, una specie di teatralità,meglio spettacolarizzazione, delle relazioni.

    come se il parossismo, nei gesti e nelle parole, indicasse una partecipazione amorosa maggiore, una passionalità istintiva e selvaggia, in luogo di un equilibrato (per quanto differente da relazione a relazione) rapporto fatto di rispetto (evidentemente noioso) delle singole individualità che compongono una coppia.

    e questo, è indistinto, nel senso che nel racconto che hai riportato vi è un esempio magistrale di quanto il senso di rivalsa e l’orgoglio, anche femminile, (lui che non mi piglia per scema,) conti più dell’osservazione pacata dell’altro che evidentemente può o non può piacere. ma non è necessariamente un antagonista del nostro ego.

    almeno io vedo anche questo.

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    • questo lo penso spesso, viaggiando in treno e incappando nelle conversazioni di innumerevoli persone che, volente o nolente, sono costretto a subire proprio per il volume e l’enfasi con cui vengono propagate al mondo circostante. vero, spettacolarizzazione delle relazioni. ciò che non mi torna però è il senso della misura, è la linea di confine che demarca la distinzione tra quel parossismo di cui parli, veicolo di passionalità, e l’essenza, quella che a mio modo di vedere è spesso non consapevolezza di una (insana) differenza di genere.

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      • certamente vi sono larvate, e neanche troppo, sfumature di misoginia nella stabilizzazione del rapporto.
        c’è da dire che purtroppo sono assorbite anche dal lato femminile per cui al primo sintomo,sconcertante, di una prevaricazione anche solo verbale o concettuale (io esco, tu no che sei donna) anziché osservare l’altro e averne un’idea e rifiutare scatole prive di contenute, appare ragionevole sviluppare formule di nemesi. come se la dignità fosse preservata da un aumento della tensione, o uno spreco di benzina.

        in questo c’è un dato culturale allarmante.
        perché la cultura maschilista è talmente assorbita che anzichè ipotizzare una rivoluzione culturale si urla più forte per imporsi. e il risultato è che si urla solo.
        non sempre, ovvio.

        in questo forse sono una voce dissonante.
        ma nel tuo racconto vedo una miseria culturale in entrambi i generi.

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      • sottoscrivo, in pieno: mi colpisce quella “ragionevolezza nello sviluppare forme di nemesi”, forse è quello che più mi spaventa…
        anch’io percepisco spesso urla anziché un tono di voce apparentemente più sommesso ma rivolto ad una più resistente rivoluzione culturale.

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