medici bioinformatici guerrieri

Oggi, lasciatemi essere un po’ spocchioso.
Oggi (e ieri, e l’altro ieri), qui, le giacche in gessato nero e le cravatte a righe non esistono: oggi si parla di ricerca in jeans, sneakers e maglie di acrilico misto lana; oggi si parla di ricerca in mezzo a dieci, venti, cento precari sotto i quaranta anni, senza che siano presenti baroni né cattedratici né professoroni in doppiopetto e pince-nez; oggi, qui, si vive di ricerca senza soldi e che non paga, ma senza la quale i suddetti baroni cattedratici professoroni si sognerebbero di essere tali e i titoloni dei giornali sulle nuove-scoperte-che-rivoluzionano-la-medicina sarebbero pura fantasia.
E la mia spocchia sta tutta qui, perché oggi non c’è nessuna Big-Pharma, nessun medico prezzolato, nessuna suite Sheraton, nessuna maniglia cromata da Hotel Principe di Savoia, nessun Hilton né Royal Luxury. Non c’è nessun gadget né catering con camerieri in livrea, cari i miei clinici alchimisti a cinque stelle.
Oggi si parla in un’aula semi-buia, di un dipartimento quantomeno vintage e discretamente originale, all’ombra dei volti di Fermi, Galileo, Einstein e Copernico, all’ombra della “loro” scienza come rivoluzione, con luminose diapositive che, anacronisticamente ma delicatamente, amoreggiano con le teche contenenti i modelli dell’atomo e gli originali, pionieristici, strumenti che meno di un secolo fa hanno cambiato la prospettiva della scienza – i fisici sono avanti, avanti, avanti, mannaggia. Oggi si parla di ricerca duepuntozero, di open-source e del socialismo reale dell’informatica. Oggi si raccontano i modelli su cui si appoggiano gli studi clinici, biologici funzionali, farmacologici, epidemiologici.
Oggi, qua, ci si diverte.

aulaamaldi

P.S. e Stefano Benni mi perdonerà, per il divertissement del titolo, ma son tempi duri: La guerre, c’est la guerre des hommes ; la paix, c’est la guerre des idées.

32 thoughts on “medici bioinformatici guerrieri

    • quel rubinetto è qualcosa di favoloso. ero indeciso se inserire l’immagine vintage delle teche con i fascicoli delle memorie di fermi degli anni venti. ma sarebbe stati banale, non avrebbero reso l’idea fino in fondo.
      p.s. sto a lacrima’ (come dite voi a roma?) dalle risate. “spocchio spocchio delle mie brame” solo te potevi tirarlo fuori! 😀

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  1. Ma c’eri! Quel posto lì fa venire un po’ di rabbia e un po’ di pensieri belli, lo so perché è casa mia, e in quei banchi lezioni e assemblee e studiare e mangiare e dormire. E non è una metafora, è letterale. C’eri, che bello. Vi ho rubato un caffè e un pezzo di dolce 😉

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      • Ero lì ma non in quell’aula in quel momento. Quello è il mio mestiere (da poco, eh) ma il mio main theme si discosta un po’ da ciò di cui avete parlato voi. Vedi che son brava a confondere le acque 😉
        Un trucco: non glielo dire troppo, ai fisici, che sono avanti avanti avanti. Già lo pensano tutti, e la nostra spocchia è da manuale… e davvero dura da reggere 😛

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  2. Ti sento una bella energia nelle parole. Significa che questo congresso ti ha lasciato qualcosa di buono. Voglia ancora di credere nel tuo lavoro malgrado tanti (troppi) limiti. ciao caro ammennicolis

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    • eh lo so. ma oggi su questo aspetto sono un po’ pessimista, ho come la sensazione che siano pochi, sempre meno, quelli disponibili alla “lotta di classe”, passami il termine. ho come l’impressione che questa sia la più grande disfatta che il precariato porta con sé: la disillusione, la perdita della capacità di aggregarsi, di difendere un diritto comune.
      mah. un po’ di pessimismo e fastidio, oggi.

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