di varie eutanasie

Che un’intervista come quella a Giuseppe Maria Saba, ottantasettenne anestesista, non possa passare inosservata – nonostante l’ostinata resistenza ai mezzi di informazione nel trattare l’argomento – è lapalissiano: non capita d’altronde tutti i giorni che un medico racconti di aver praticato eutanasia ad un centinaio di pazienti.
Non entro nel merito della questione etica, né delle scelte individuali, né mi sento di esprimere in questa sede la mia posizione al riguardo; constato semplicemente l’assoluta necessità della revisione dell’attuale legislazione. Su un aspetto, però, credo sia molto pericoloso travisare. Le cure palliative, al termine della vita, non sono eutanasia. Questo vale sia quando si confondono venti milligrammi di morfina con cinquecento di cianuro ma vale anche quando si continua a citare a sproposito un fantomatico “studio del 2007 dell’Istituto Mario Negri” – come ad esempio in questo articolo, ma basta cercare su google per scoprire che è referenziato ovunque – secondo cui in Italia si registrerebbero 20 mila casi di eutanasia clandestina (!).
Ventimila. Per cortesia. Primo, considerazione spicciola: in Italia (pubblicati i dati dell’ultimo censimento Istat del 2011 qualche giorno fa) ci sono ogni anno circa 500 mila decessi: a spanne, quindi, teoricamente uno su venticinque di “eutanasia clandestina”. Ecchediamine: sono medici o sadici pluriomicidi? Secondo: lo studio è stato pubblicato nel 2010 e non nel 2007, è questo (qui in pdf) e credo sia corretto aggiornarsi. Terzo: l’articolo non parla di eutanasia. Una riflessione seria sull’argomento, sul testamento biologico, con obiettivi legislativi richiede a mio parere quanta più chiarezza possibile, scientifica e non secondariamente terminologica: concordo con quanto sottolinea Mario Sabatelli, neurologo, in altra intervista (questa) al centro dell’attenzione in questi giorni, sul fatto che sospensione delle terapie (“desistenza terapeutica”) sia diverso da eutanasia, sospendere un trattamento farmacologico sia diverso da somministrare attivamente un farmaco letale. Nello stesso modo in cui ascoltare la volontà del paziente sia diverso da imporre.
Non è una riflessione da poco, visto il limbo attuativo nel quale ancora naviga la legge 38 e data la disuniformità con la quale viene ancora affrontato il trattamento del dolore.
La sensazione, da esterno, è che ci sia innanzitutto bisogno di tanta chiarezza scientifica ed onestà intellettuale, ancor prima di arrivare all’etica o alla fede. Sono scelte legislative difficili, pesanti. Chissà che quella chiarezza non vada, semplicemente, a favore di una buona dose di leggerezza.

banksy.lego

P.S. a proposito di chiarezza, ho trovato molto interessante questa riflessione, che vi invito a leggere.

40 thoughts on “di varie eutanasie

  1. Io credo solo che noi medici dovremmo tutti avere le palle di decidere che a volte basta, nel miglior modo per il paziente. Non di sentirci solo la coscienza a posto ‘facendo tutto il possibile’, incluso quel che bene per il paziente non è.

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    • capisco quel che dici, e immagino quanto non sia facile stabilire quel confine, labile, tra il giusto e il troppo. da osservatore esterno (cosa che ovviamente non va dimenticata) ma molto vicino a tale realtà, ad esempio, vedo che anche all’interno delle equipe di cure palliative esistono approcci più o meno interventisti (vedi sedazione, ma questa è un’altra storia).

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  2. è che una informazione corretta, porterebbe a un consenso o un dissenso informato, credo io. all’alfabetizzazione, la chiamo io.
    tenere volutamente il confine confuso e ambiguo tra accanimento e induzione (posto che personalmente non mi scandalizzerebbe nella specificità dei casi) apre delle voragini emotive pericolosissime e io credo che invece questa còsa vada innanzitutto trattata con un linguaggio scientifico e asettico. e poi dopo, ognuno dentro questa cosa ci mette la propria personale visione emotiva della còsa. o etiva, o morale, o come vi pare.

    oltre al fatto che restringere fino a comprimere la possibilità di scegliere significa solo imporre una morale più giusta di un’altra.
    io, ad esempio, in un paese in cui ci fosse l eutanasia, potrei liberamente scegliere di non usarla.
    non può realizzarsi il contrario, mi pare.

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    • tenere volutamente il confine confuso e ambiguo è, per certi versi, una soluzione di comodo, soprattutto in un contesto che probabilmente non ha fatto fino in fondo i conti con l’etica e la fede. quanto scrivi per me dovrebbe valere per tutto (e soprattutto per le donne, vedi interruzione di gravidanza): libertà di scegliere, purché vi sia la possibilità.
      la preclusione collettiva piace molto molto poco, anzi non piace per nulla, anche a me, indipendentemente dall’essere d’accordo o meno, su ciò che non lede la libertà altrui (se non quella del pensiero, ma qua mi fermo perché non voglio esser polemico in questa sede).

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      • volevo dire qualcòsa del genere che tu hai detto meglissimo, amme.

        certo, credo valga in ogni ambito, o meglio in ambiti in cui il campo è un campo per certi versi assiologico e non meramente legale.

        in fondo i temi, seppur risentendo inevitabilmente di un tessuto culturale (etico morale religioso) socialmente assorbito (magari non condiviso ma comunque integrato in qualche modo), sono temi individuali. ma si fa fatica secondo me a riconoscergliela. non è un caso, per esempio, che sia facile legiferare su cose che sono indifferenziatamente, cioè generalmente, stigmatizzate.

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        • ma infatti: in questo mi piacerebbe che intervenisse redpoz, che secondo me avrebbe molto da dire conoscendo approfonditamente non solo le leggi ma la loro a volte complessa genealogia.
          (ti riferivi a qualcosa in particolare su questioni generalmente stigmatizzate? di getto mi è venuto in mente, ad esempio, il labile confine tra droghe pesanti e leggere, ma poi mi son fermato lì… – e vigliaccamente attribuisco la responsabilità alla mancanza di zuccheri 😛 )

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  3. Ogni volta mi viene da chiedermi quanti di noi non preferirebbero gettarsi da una finestra piuttosto che vivere in certe condizioni? Con il problema che in quel caso difficilmente lo si possa fare da soli? E dunque perché non poter scegliere come se si fosse perfettamente autonomi?

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    • ecco, non so. non so risponderti, perché credo non sia proprio equiparabile il suicidio – altre condizioni, altre premesse, altro aspetto umano – né all’eutanasia né alla desistenza terapeutica. certo, in questo ho trovato molto interessante le prospettive umane raccontate in forma cinematografica: “mare dentro” e “million dollar baby”, che provano a raccontare la scelta del suicidio assistito – certo, senza dimenticare che lì c’è davanti una macchina da presa, altra cosa rispetto alla quotidianità di drammi umani nelle corsie dei reparti o nelle assistenze domiciliari.
      sulle ben note vicende che hanno riguardato il nostro paese (welby, englaro), invece, assolutamente mal gestita la comunicazione mediatica, che ha indirizzato il dibattito su binari etici/morali/di fede ancora prima di definirlo da un punto di vista scientifico.

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      • io mi riferivo al fatto che il malato possa decidere di se stesso. Cioè cosa farebbe se potesse. Che se io sono un vegetale l ho già
        detto ke non ci vorrei restare un anno o che se soffro di una condizione non più umanamente x me accettabile e senza possibilità di sbocco, non mi si accaniscano.
        io poi tutti sti medici pronti a fare l impossibile e oltre non l ho proprio visti.
        se era x i medici italiani mio padre sarebbe morto 4 anni prima, che tanto c aveva 77 anni (espressione che riporto para para dall oncologo) . Invece curato in Francia ha vissuto dignitosamente accanto a mia madre in buonissima autonomia fino all ultimo.
        Ecco, qst non lo chiamerei accanimento!
        .

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        • è per questo che una legislazione seria, aperta alle possibilità, secondo me è necessaria. altrimenti, giusto per rimanere in tema, è solo un tirare a campare disquisendo dei massimi sistemi ogni volta che capita il caso che fa notizia sui giornali.

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  4. Mi pare troppo lontano, quel che auspichi, dalla cialtroneria informativa e comunicativa in cui siamo immersi. Lasci fare ai medici, che ne sanno. Questo è quando ti accade da vicino.

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  5. grazie per aver portato all’attenzione l’intervista, adp, anche a me era passata inosservata.
    anche se la tua posizione sull’argomento traspare, però, mi piacerebbe prima o poi scrivessi un post in cui prendi posizione. sarebbe bello sviscerare l’argomento, non tanto dal punto di vista legislativo (che, giustamente, invochi qui) quanto dal punto di vista umano.

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    • sì, inevitabilmente la mia posizione traspare (anche se forse, personalmente, non così estrema rispetto all’eutanasia come si può immaginare). ma, sinceramente, credo sia sufficiente così. è una faccenda estremamente individuale, e non mi riesco a immaginare un post in cui generalizzare l’aspetto umano. quello legislativo è un altro discorso, ed è il motivo per cui ho scritto (vedi anche i commenti con rideafa): che la legge preveda un diritto a cui chiunque sia libero di aderire, che chiunque sia libero di utilizzare, dovrebbe – deve – essere il minimo, ed è questo che dovrebbe costituire un impegno morale per i legislatori – ed essere spunto per cercare quanto più possibile chiarezza scientifica.

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      • l’aspetto umano non si può generalizzare, certo. lo dicevo solo perché alla fine ci esprimiamo per confrontarci. penso sempre che la genesi delle idee sia come una reazione chimica: bisogna mettere insieme delle idee elementari, e farle reagire. ma non basta: è necessaria una certa forza di impatto fra le idee, non basta metterle nella miscela di reazione, devono avere “incontri efficaci” e per ottenere questo a volte bisogna “riscaldare” la soluzione. tutto qui.

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  6. Questo post mi era sfuggito. Vorrei dire molto a dibattito, ma un po’ sottoscrivo quel che dici nel post, un po’ mi identifico con le diavolesse.
    Che paese cripto-cattolico che siamo, nelle concrezioni profonde del nostro stesso, inconsapevole, immaginario.

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