lo zen e l’arte della preparazione del nocino

Fine settimana di alchimie, in casa ammennicoli.
Il preparato, ehm, “galenico” ha previsto l’impiego di una quantità proporzionale (e per alcuni di essi vagamente spannometrica) dei seguenti ingredienti: tredici malli di noce rigorosamente raccolti il dì ventiquattro del mese di giugno, in (quasi) religioso ossequio alla tradizione; un litro di alcool etilico puro novantacinque gradi per preparazioni voluttuarie; tre decilitri (o trecento emmeelle che dir si voglia) di chiara fresca e dolce acqua (previa, della medesima, bollitura); una mezza chilata di zucchero; una mezza dozzina di chiodi di garofano; una quantità di cannella in stecche compresa – circa due volte – tra il pollice e l’indice.
Considerazioni del giorno dopo. La prima: non finirà mai di stupirmi l’affinità, quasi ontologica azzarderei, tra il cucinare e il seguire protocolli di laboratorio di fronte ad un bancone (deformazione professionale docet, non vogliatemene), e la conseguente passione per entrambi tali divertenti passatempi. A dispetto di quel che si può credere, un biologo è in grado di coniugare metodica e improvvisazione con la stessa ritualità e fascino con cui chi cucina può conciliare ricette seguite pedissequamente con creatività, e improvvisazione, nell’abbinamento degli ingredienti (“sentendoseli in bocca”, per capirci, prima di combinarli nel tegame). In questo parallelismo mi ritrovo molto.
La seconda considerazione: non finirò mai di ringraziare i pionieri che ebbero l’intuito, e sperimentarono il modo, di trasformare un mallo in nettare (crudele sorte, non ebbero ugual fortuna quelli che per primi assaggiarono una Amanita phalloides)
Ma soprattutto, infine, non finirò mai di stupirmi di tutto quell’insieme di (relativamente imperscrutabili, o quanto meno mi piace pensare che a me rimangano tali) eventi naturali, chimici e fisici che consentono di trasformare nel giro di non più di ventiquattr’ore una soluzione limpida – solo vagamente paglierina per riflesso dello zucchero di canna impiegato nella preparazione – in una miscela indiscutibilmente noir.
E, nel giro di qualche mese, in auspicabilmemte godurioso nocino.

nocino

60 thoughts on “lo zen e l’arte della preparazione del nocino

  1. Ecco son queste cose che (per come son fatta io) fanno vedere la trasformazione.
    E se ci riesce un pò di zucchero e di mallo io spero che ci riesca anche il genere umano 🙂

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  2. Comunque ricordo di averlo fatto, in quinta elementare, con le noci di Noceto, patria della mia maestra e sede della nostra gita di fine anno. L’ho covato per tempo, in quel barattolo che degeva nel bagnato. Poi ovviamente non l’ho bevuto. 🙂

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  3. amme, io sul nocino passo, che è proprio la noce a non piacermi. Però se ti attivi su un limoncello, o una ratafià in versione ciociara, sto qua. Una prece per i pionieri dell’amanita. D’altronde alcuni nacquero sfigati ed essi, onestamente, lo nacquero.

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  4. I miei complimenti!

    Anche i miei nonni in passato ogni tanto lo preparavano. A casa ce ne è ancora qualche bottiglia, quando lo stappi sembra venga fuori una vecchia fotografia

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  5. sono indecisa se immaginarti come Mago o Frate Ammennicolo! il primo ovviamente impegnato a far pozioni a fin di bene, l’altro per incrementare la devozione estatica…
    ma il nocino va preso prima o dopo la biciclettata? 😀

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  6. Dipende da chi cucina adp, vedessi me ai fornelli non ti verrebbe in mente nessuna similitudine con una qualsiasi pratica che preveda la parola “protocollo” 🙂

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  7. Se non ricordo male, il bagnomaria l’ha inventato una certa Maria l’Ebrea, che faceva l’alchimista, o giù di lì. Anche la distillazione è roba da alchimisti. Devo aver pure letto qualcosa sugli appunti che prendeva Marie Curie ai fornelli, ma ora non ricordo dove. Insomma, in cucina si sperimenta, e se si conoscono i protocolli la cosa viene meglio 🙂

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