marinaleda, una utopia hacia la paz

«En papel, està todo bien», spiega il barista.
Sulla carta: la stessa che, in un viaggio di piacere per il sud della penisola iberica, ci ha, ovviamente casualmente (…), portato a vagare per le strade di Marinaleda.
La presentazione è lineare: poco più di duemilasettecento abitanti, nel cuore dell’Andalusia, circondata da oliveti a perdita d’occhio; l’immancabile bianco calce delle case per lunghe estati esposte al sole, azulejos a decorare porte e numeri civici. Tanti giochi per bambini, tantissimo verde, innumerevoli murales,  tanti, davvero tanti, centri culturali e sportivi – davvero tanti a pensare alle ridotti dimensioni del paese. E poi, le strade, certo dai nomi insoliti considerando che si concentrano tutti in un’unica cittadina: Calle Ernesto Che Guevara, Plaza Salvador Allende; eppure, non è difficile scoprire che la toponomastica fa parte più del folklore che della sostanza. La sostanza è economica e sociale, dato che Marinaleda è luogo nel quale, oltre ad esser presente un tasso di disoccupazione dello zero-virgola-zero per cento (a fronte di una media nazionale di svariati punti percentuali, in doppia cifra), si vive bene, e per una ragione molto semplice: centrali rispetto alle scelte sono i diritti ed i bisogni della gente. La casa è diritto, oltre che bisogno; i servizi sono diritto, oltre che bisogno; il bene dell’individuo passa imprescindibilmente dal bene della collettività.
Ciò per cui Marinaleda e il suo sindaco Juan Manuel Sanchez Gordillo sono diventati riferimento è il fatto che la cittadina, per quanto i numeri siano piccoli, ben rappresenta un modello che facilmente può considerarsi quanto più vicino possibile al socialismo utopico. Il manifesto, per un paese come il nostro, è dal canto mio invidiabile: il sindaco rinuncia a qualunque retribuzione così come i membri del collegio; non esistono “addetti stampa” né “consulenti legali”; non esiste un corpo di polizia locale. Cerco in rete, scopro che anche alcune (non certo troppe) nostre testate giornalistiche ne hanno parlato (ad esempio, sfogliando google, qui o qui). Effettivamente, il modello affascina: la struttura economica è su base agricola (beh, con tutti quegli olivi…ma non c’è solo quello: la riforma agraria include svariate colture, tra carciofi, peperoni e legumi), ed il salario di tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di lavoro, è di quarantasette euro per giornata, per sei giorni alla settimana (35 ore settimanali), per un totale di millecentoventotto euro al mese. Ancora più importante: chiunque ha diritto a costruirsi una casa di un centinaio di metri quadri purché disponibile ad impiegare la propria forza lavoro – insieme a quella degli operai messi a disposizione dal comune: non ci sono mutui né interessi, il terreno è della municipalità ed il costo di materiali e manodopera è interamente coperto (grande conquista di Gordillo) dal governo andaluso; la quota mensile da versare per l’acquisto è decisa in assemblea dagli stessi cittadini e, come racconta wikipedia, «le ultime case sono state costruite ed acquisite dagli autocostruttori per la cifra di 2.550 pesetas al mese (all’incirca 15 euro mensili)». E, se la coperta è corta, si lavora meno, ma si lavora tutti.
Ma quindi, il «sulla carta va tutto bene» del barista? Una ragione c’è. Il modello della riforma agraria ha dato lavoro a chiunque, ma ha inevitabilmente spento alcune individualità: per artigiani ed artisti mantenere il proprio lavoro è stato (ed è) più difficile. Per questo, alcuni anni fa questi hanno scelto di andare sulla costa, verso le zone turistiche, con la prospettiva decisamente più allettante di svariate centinaia di euro al giorno.
Certo, questo è un dato di fatto.
«Y después, ¿qué pasó?», chiediamo. E poi è successo che è arrivata la crisi degli anni scorsi – risponde – e sulla costa il lavoro non c’è più stato, sicché tutti sono tornati a Marinaleda. Solo che non sono tornati solo quelli che se n’erano andati – prosegue – ma anche altri, che hanno capito che qui c’è un modello che funziona. Per carità, c’è terra e lavoro per tutti, ma la coperta è sempre più corta (ed infatti, se ho capito giusto ed a meno che non si trattasse di approssimazione per difetto, non sono attualmente 47 gli euro al giorno, come cita wikipedia, bensì 45).

Che indubbiamente resti l’interrogativo dell’applicabilità di un modello simile su scala più ampia; che resti la riserva sulla possibilità di conciliare collettività ed individualità, promuovendo il bene comune ma senza tarpare le ali della creatività; che certo un modello come questo richiederebbe giorni per esser conosciuto, e non il passaggio in stile vacanziero di una domenica in gennaio; che sia un modello costruibile solo grazie a una fatica e una continuità lunghe anni (Gordillo è sindaco dal 1979) e questo sia inconciliabile con strutture che prevedono, più saggiamente, mandati limitati nel tempo; che tutto questo sia indubbio, è palese.
Resta però la sensazione, forte, di aver attraversato, anche solo per un attimo, quella che troppo spesso si ascrive ad ideologia o utopia ed è, invece, semplicemente una bella e concreta realtà, compagna di giorni e notti di un borgo di gente allegra nel cuore dell’Andalusia.

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24 thoughts on “marinaleda, una utopia hacia la paz

  1. Io e un mio amico ci interrogavamo sull’opportunità di trasferirci a Marinaleda, ma poi una domanda è sorta angosciosa: la sera che si fa?
    😉
    A parte gli scherzi, volevo dire che quando mi sento rivolgere frasi tipo “se poi vuoi fare una battaglia ideologica allora…” intendendo con questo accusarmi di non avere i piedi per terra e di essere una testa calda, di solito rispondo che le battaglie ideologiche sono sempre molto più pragmatiche di quello che ci piace credere, sono quelle che cambiano le cose di tutti i giorni. Marinaleda ne è un chiaro esempio.

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  2. Credo che sia frutto di una combinazione di elementi, come territorio, estensione, stabilità dell’amministrazione, che ha sicuramente aiutato il consolidarsi di una simile struttura economico-amministrativa.
    Che sia replicabile altrove o su larga scala non saprei, però in realtà forse il segreto è proprio partire dal piccolo, dal particolare e arrivare al generale, oggigiorno invece noi creiamo città metropolitane – che non ho ancora ben chiaro cosa siano, cosa facciano, a cosa servano – e si parla di macroregioni, come se un rimedio agli sprechi fosse quello di diluirli in una realtà più estesa, invece eliminarli.

    Non so dove volevo arrivare a parare, il mio concetto era appunto quello di riscoprire il piccolo

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  3. In verità ho riscritto questo commento sei volte, e ancora non basta. Perché in realtà forse non c’è niente da dire, la lezione è sempre quella: se ti accontentavi di quarantacinque euro ieri, oggi non te ne ritrovavi solo dieci. Loro, non io, hanno scelto il liberismo, bene godetevelo. Ma voi non avete più un posto dove tornare.

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    • io penso che non ci sia stata solo grande magnanimità nel “riaccogliere il figliol prodigo” scottato dal liberismo; lì, in fondo, ci sono migliaia di ettari di terreno coltivabile e lavoro non manca. mi chiedo se non sia stato anche un preciso messaggio politico al parlamento andaluso, oltretutto alla luce della recente rinuncia di gordillo: “guarda, nonostante tutto, noi ce la si fa lo stesso. tiè. ahora esperamos el dinero, gracias”.

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  4. A me devo dire che tutto ciò inquieta più che sedurre. Quel sindaco dal 1979, quella assimilazione… A me sembra che se ne possano percepire i contorni utopici nel senso di eutopici solo per le ridotte dimensioni. Altrimenti, su scala più ampia, boh, non so, ma davanti a me fa capolino quel suffisso “dis”. (E infatti ricordo l’articolo del Fatto mi aveva lasciato le stesse perplessità).

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    • quella infatti era anche una delle mie perplessità, tra le criticità che riportavo nella seconda parte del post: trenta e passa anni sono tanti, troppi, impensabile che non ci sia un ricambio generazionale. per altro, gordillo ha appena rinunciato al parlamento andaluso per restare come alcalde a marinaleda.
      d’altro canto, però, questo è problema non del singolo paese ma della spagna, loro come noi poco avvezzi al rinnovamento periodico delle cariche; oltre a questo, la sensazione è che gordillo sia più personaggio carismatico che propositore (o impositore) di un modello che è prevalentemente, oramai, impostato sulle assemblee e sulle decisioni collettive dei “collegi”.
      su scala più ampia, medesima perplessità tua che possa funzionare; come scrivevo a gintoki, per me sarebbe già molto interessante la riproducibilità del modello sociale in un altro paese di tremila abitanti, e poi in un altro, e così via, partendo dal piccolo. in fin dei conti, pur essendo una struttura che inevitabilmente paga lo scotto del “logo” (a partire dai murales che, all’inizio, quasi respingono…), è un luogo in cui l’impressione è che si viva bene anche in termini di quantità e qualità del tempo a disposizione per altro che non sia l’attività agraria.

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  5. Aldilà delle domande sulla trasferibilità altrove del modello e delle criticità che tu stesso segnali (e sulle quali, se ben ricordo, ho dibattuto non poco con Albucci), ne vorrei aggiungere un’altra: mi pare che il modello si fondi (o, almeno, abbia forti radici) su due dati di fatto, che potrebbero esser ridotti ad uno, cui poi ne aggiungerei un terzo, ovvero: grandi estese coltivabili e libertà di costruire la casa.
    Il che si traduce in una grandissima disponibilità della terra.
    Il terzo punto sarebbero le “sovvenzioni” del governo locale andaluso. Ma per ora lo lascerei da parte.

    La mia rinnovata perplessità sarebbe piuttosto legata al problema della terra.
    Mi pare un pò, leggendo il tuo post, di esser tornato a quelle letture di antropologia sulle tribù amazzoniche o indonesiane che vivono in grande egualitarismo, perché le risorse sono abbondanti per tutti (infatti, migrazioni e gerarchie sociali cominciano a sorgere solo ove la terra diviene limitata: meno fertile, contesa con altre tribù….).
    Ora, Marinaleda ha la fortuna di non incontrare questi problemi, che è magnifico per la sua comunità.

    Ma è una coincidenza o potremmo assumerla come dato comune anche altrove? (lo so che produciamo più di quanto consumiamo, ma la domanda resta)
    E, ammettendo ciò sia possibile, mi sorge una nuova domanda: fino a quando? Spiego: se tutti costruiscono una casa, ci sarà terra per tutti?
    Mi pare, in definitiva, che torniamo a sbattere contro il “mito della crescita infinita”. Ovviamente, qui, ho estremizzato per sintesi la questione.

    Ma forse non ho capito niente.

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    • la terra, scrivi bene, è una questione cruciale. più in generale, le risorse, ed anche senza troppe nozioni di economia o sociologia è logico pensare che un modello simile può esistere solo finchè il rapporto è bilanciato. marinaleda non è un contenitore infinito: sono però i cittadini che stabiliscono fino a dove possono accogliere, secondo il modello assembleare.
      in generale penso che però, al di là dell’aspetto economico, il punto di forza sia il plusvalore del tuo post di oggi. e, per quello, oltre alla terra contano (anche) le scelte non monetizzabili.

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