«La coperta è corta», e va bene. «Fa curriculum», e va bene. Precariato, e va bene (a proposito: giusto oggi ne festeggio i quindici anni giusti giusti. Pat pat, pacca sulla spalla, «auguri, eh!», «via che stasera si brinda!». chiusa parentesi). Va bene tutto, insomma; ieri, però, per non farmi mancare nessuna prospettiva, mi sono goduto l’ennesimo risvolto del precariato e dell’aiutati che il ciel t’aiuta: la minimizzazione del rischio.
La faccio breve, ché è roba tecnica – forse nemmeno troppo intuitiva per i non addetti ai lavori – e non voglio tediarvi. La sostanza, nonché la premessa, è questa: è appena uscito un bando per fondi di ricerca in ambito oncologico destinato a istituzioni ospitanti, accademiche o non, che non abbiano sede in Lombardia. Bene, io per ora lavoro nella piccola mela milanese ma non è un problema: grazie alle reti che normalmente si generano nella ricerca, è facile trovare collaboratori oltre il confine longobardo-padano. Conditio sine qua non per la partecipazione è l’affiliazione del presentatore del progetto (quello che viene convenzionalmente nominato con l’acronimo inglese “PI”, Principal Investigator) all’istituto ospitante, che deve però garantire la copertura di non meno della metà del salario del medesimo. Siccome nella ricerca è dato, giustamente, che non si possa chiedere nulla per nulla, la mia offerta in cambio – necessaria contropartita commisurata alla richiesta – è includere a budget nel progetto di cui sarei PI il salario completo per un ricercatore dell’istituto a cui cercavo di affiliarmi.
E qui sta la mesta considerazione. La risposta, laconica, che mi è stata data dal ricercatore a cui ho fatto la proposta: «Certo, l’Università può garantirti tutto il sostegno possibile, ma sul pagamento…» non lascia grandi spazi di progettualità. Ora, posso congetturare e valutare tutte le attenuanti del caso: collaboro da circa dieci anni con il gruppo che ho contattato e non mi hanno mai detto che gli sto antipatico, il che invece potrebbe anche essere; il progetto non era, ovviamente, ancora definito, e questo certo non aiuta a pensare in grande; l’elargizione dei fondi impone poi che il PI sia ultimo e corresponding author delle pubblicazioni relate e questa, ovviamente, è zavorra non da poco… Al tempo stesso, dato che questo non è l’unico episodio ma l’ultimo di una serie analoga di cui sono venuto a conoscenza e non solo riguardanti il qui scrivente, la sensazione (sottolineo: sensazione) è che non sia questione personale ma un orientamento generale che sta inesorabilmente radicandosi in un contesto nel quale le risorse sono sempre più scarse, traducibile in “preferisco tenere strette le poche certezze che ho.”.
Può sembrare scontato, vista la tendenza generale del bel paese, ma non è così: una delle (poche) garanzie che la ricerca aveva offerto finora era, dal mio punto di vista, “precariato sì, ma ce n’è per tutti“; mi riferisco ovviamente a un target di ricercatori con un curriculum, diciamo, di minima. La sensazione è che questa (piccola) garanzia stia ormai iniziando pericolosamente a vacillare. Progettualità condivisa? Sì, ma non troppo. O al massimo, come ironizza questo (geniale) video, per offrire visibilità:
Per non far mancare a questo post una adeguata dose di ironia (che, se non è ancora di salvezza, è quantomeno catartica), comunque, aggiungerei che, mal che vada, ci sono buone prospettive di intraprendere una strada che vagamente ricorda quella proposta dal movie “Smetto quando voglio“: ad esempio, andare a coltivare marjuana in Toscana.
Ma per fortuna, questa, no, non è una battuta: è la finalmente sempre più concreta realtà dell’uso terapeutico dei cannabinoidi in Italia.
P.S. due piccole segnalazioni in chiusura.
La prima, richiamatami alla mente per associazione di idee dalla luce del video di cui sopra, riguarda dopodomani, giorno in cui occorrerà l’undicesima edizione di #MilluminoDiMeno, l’iniziativa di Caterpillar che invita a compiere un gesto nella direzione del risparmio energetico. Ecco, colgo l’occasione dell’iniziativa (più che altro sfruttando il suo alto impatto mediatico) per invitare i lettori di questo blog – me compreso! – a pensare ad un gesto simile non solo per dopodomani, 13 febbraio 2015 alle ore 18.38, ma da rendere piccola abitudine consolidata, pensando che – concedetemi un piccolo spazio di retorica – sarà un grande gesto per un futuro un pochino più sostenibile e per ridurre la propria impronta ecologica (qui o qui, per chi volesse dilettarsi a calcolarla approssimativamente): magari cambiare una lampadina, o un viaggio in più in bicicletta e uno in meno in macchina, o spegnere una luce accesa inutilmente.
Della seconda iniziativa, io leggo perché (con immancabile ponte al social network #ioleggoperche), lascio che a raccontare sia l’autorevole voce della ‘povna e ad essa invito tutti a partecipare, forti o timidi lettori.
Che tristezza!!!
Non so se questo l’hai visto … gli autori laureati precari, ormai bravissimi nella realizzazione di questi video perché si nutrono di pane e ironia …
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sì, conoscevo! ne discutemmo qui: http://discutibili.com/2014/01/14/coglione-no/comment-page-1/
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grazie della segnalazione, blog molto interessante 🙂
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io non commento, ché tanto è inutile che ci “inzolfiamo” a vicenda su queste cose (come diciamo a napoli). però al tuo “uomo visibile”, rilancio con “promettimi che non lavorerai mai” (nel caso tu non lo conosca già). divertiti…
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sto lacrimando…
(e no, non commentare. già sappiamo)
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Tu scuserai, ma ho il rigetto avendo passato gli ultimi tre giorni a calcolare l’impact factor dei nostri ricercatori per le pubblicazioni degli ultimi 5 anni, ovviamente requisito per la partecipazione ai bandi. Ma ultimamente ho messo mano anche ai loro contratti e sono sbalordita da quanto poco guadagnino… il resto è solidarietà
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…e avrai notato quindi come spesso IF e stipendio siano inversamente proporzionali… 🙄
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🙂 confermo
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Aggiungo, nel ringraziarti, che per “timidi lettori” si intende chi legge meno di due libri al mese, che possono essere oggetto di una azione motivante alla lettura, da parte degli ambasciatori, o lettori forti. Ma che tutti sono invitati a sostenere l’iniziativa come partecipanti, anche se si sentono in una fascia di mezzo tra gli altri e gli uni!
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una cosa mi sfugge. si può partecipare in entrambi i ruoli? intendo: io ho letto un terzo di quei ventiquattro libri… se ricevessi un libro da un messaggero, per dire, non mi spiacerebbe. 🙂 no, eh?
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No, ovviamente no. Il concetto è che chi ama la lettura convince chi non la ama ad amarla e le case editrici ti regalano (se sarai tra gli ambasciatori definitivi, i diecimila) 24 strumenti. Ai quali, va da sé puoi aggiungere i tuoi. Inoltre i titoli non li sceglierai, come ambasciatore. Ne avrai 12 + 12 a caso.
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peccato. ci avevo provato… 😉
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Oh. Poi non si sa mai, eh. A giudicare dalle prime reazioni mi pare che qui si senta lettore forte anche gente che legge al massimo la ridicola quantità di una ventina di libri all’anno, magari tutti di uno stesso genere… (Il che potrebbe essere una interessante chiave di lettura sul perché non si legge in questo paese: molta poca autocritica, tutti scrittori e lettori forti, come no. E poi ti giri e – anche solo in giro per la rete – credo di non trovare un singolo pezzo di scrittura privo di errori…
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per corroborare ciò che Ammennicoli mestamente esprime a proposito della ricerca: l’anno scorso ho svolto tutta la pratica (per la mia azienda, si intende) per iscrivermi all’albo dei Laboratori di Ricerca del MISE. Consulenti che preparano il malloppazzo, analisi, tempo speso per una (ritenevo) buona attività, utile indubbiamente alla mia azienda. Seguita tutta la procedura trovata sul sito del MISE, inviamo la documentazione ed incrociamo le dita. A luglio, riceviamo risposta: in sintesi, ci dicono che il governo Letta, l’anno prima, aveva fatto un decreto per cui l’Albo dei laboratori di ricerca veniva chiuso. In sostanza chi c’era dentro, bene, chi bussava alla porta, fuori. Tranquilli, però, siamo sicuri che il governo riprenderà in mano la questione, abbiate fede! Due considerazioni: 1) il mondo della ricerca in Italia è ormai defunto e sepolto 2) ma perchè sul sito del MISE c’è tutta la procedura da seguire, con tanto di modulistica, se DA UN ANNO NON E’ PIU’ VALIDA???
Un’ultima parola: che amarezza…
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il mondo della ricerca defunto e sepolto forse no. anzi, per le poche risorse che abbiamo riusciamo a dare veramente il meglio: guarda ad esempio questo rapporto anvur http://www.roars.it/online/anvur-italia-meglio-di-germania-francia-e-giappone-come-efficienza-della-ricerca-pubblica/
sul discorso mise, inutile aggiungere: che tristezza. non dissimile da quando il miur fece partire il secondo concorso per l’abilitazione scientifica nazionale senza che neanche avessero finito di lavorare le commissioni per il primo…
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“precariato sì, ma ce n’è per tutti”
Ho letto e riletto la stessa frase, collegata al fatto che fosse – se vogliamo – comunque una garanzia.
Ecco, a parte l’ironicità dell’accostamento tra le due parole in cui c’è un evidente ossimoro (precariato e garanzia), il pensiero che alla fine fine ci si debba adattare al non avere distrugge. A poco a poco è come è la storia del tipo che voleva insegnare al proprio mulo a digiunare.
Ecco, mi sa che ci stiamo abituando a digiunare
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il tipo che voelva insegnare al mulo a digiunare?!? ohpperbacco, questa mi manca…
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È una favoletta morale tipo quelle di Fedro, non ne so l’origine perché poi l’ho sentita in varie versioni, forse mi sa che è campana, comunque eccola:
http://www.altosannio.it/aneddoto-almosaviano-luasine-zi-ruggere-lasino-zio-ruggero/
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non conoscevo. sì, temo la direzione sia quella, e non solo nella ricerca.
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Pingback: Sempre la stessa storia | i discutibili
Quanti sono i blogger? Dai secondo me son un mondo piccino piccino
Quanta gente fa il tuo lavoro? Dai saranno mica in tanti.
Ebbene, condividiamo queste due caratteristiche.
Evito ogni commento su IF, bandi, precariato ecc ecc
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uh benvenuta! ho curiosato un po’ il tuo blog e ho visto che per un periodo ti sei pure avvicinata alla bioinformatica nella quale io sono ora immerso…
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Oh si..ma io amo il bancone 🙂
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visto!
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Il mio problema è amare ancora troppo quel lavoro. L’amore più lungo che la mia vita abbia mai conosciuto, se escludo quello per mio padre!
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ti capisco. in fondo penso anch’io che sia solo quella passione che può sostenere così 15 anni di precariato… e no, non è mai troppa!
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15 anni anche per me 🙂
Ma come vedi dal mio blog anche se ho investito una vita nella ricerca: mamma:scienziata=1000000:5 e bada che vivo e amo il laboratorio e tanto!!!!!!!
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