di vaccini, pubblicità progresso o terrorismo psicologico

2015-12-12 13.25.17

Vengo a sapere dall’informativa quotidiana del Ministero della salute che la Fnomceo, in occasione del recente convegno “Vaccinazioni oggi”, propone, per incentivare la pratica vaccinale in età pediatrica, la diffusione di «Immagini shock, come quelle dei malati di tumore sui pacchetti di sigarette o delle vittime degli incidenti nelle campagne per la sicurezza stradale, ma raffiguranti i bambini (e gli adulti) danneggiati dalle malattie infettive […] proposta sulla quale si sono trovati d’accordo i ricercatori, gli epidemiologi, i docenti universitari, i filosofi della scienza, i magistrati, i medici».

Rimango perplesso e mi perdo in una riflessione. Premessa: non voglio assolutamente entrare nel merito dell’argomento vaccinazioni pediatriche sì/no/forse e della diatriba tra non-vaccinatori e vaccinatori-a-oltranza, questione che esula il senso di questo post; la mia riflessione è sulla questione metodologica.

Sulla questione vaccinale trovo l’approccio del “terrorismo psicologico”, la proiezione di immagini scioccanti, insensato; per i sostenitori della pratica vaccinale, aggiungerei, decisamente controproducente. Questo per una serie di ragioni. La prima è sostanziale: veicolare un messaggio positivo attraverso una pubblicità in negativo è tendenzialmente dimostrato essere inefficace – anzi, numerosi studi dimostrano, appunto, addirittura controproducente (riporto a titolo esemplificativo questo o questo). D’altra parte, «non c’è bisogno di un meteorologo per sapere da che parte soffia il vento» (cit.): vale a dire, forse non serve nemmeno riportare degli studi per capire che, in Italia, le Pubblicità Progresso che hanno utilizzato tutte la medesima logica, hanno floppato: vorrei qui semplicemente ricordare una – inguardabile – perla degli anni 80, “Chi si droga si spegne”  (in altre parole, senza entrare troppo nello specifico, è ormai abbastanza noto che immagini ad effetto attivino delle aree cerebrali, quali amigdala o regioni prefrontali, sensibili alle emozioni; il collegamento con l’agire è però tutto da dimostrare e dipendente da svariati altri cofattori).

Secondo motivo, nella pratica: a quali immagini scioccanti pensavano i ricercatori ed i medici che hanno formulato la proposta? Spero non a quelle, realmente per stomaci forti, di un tumore testa-collo in fase avanzata, una porfiria cutanea o un linfoma anaplastico cutaneo, perché nei confronti di questi, ovviamente, non esiste vaccino. Facendo una rapida cernita tra le vaccinazioni obbligatorie previste dal piano nazionale, le uniche che si possano prestare alla strumentalizzazione credo siano le rappresentazioni degli effetti devastanti della poliomelite o, a voler pescare tra le vaccinazioni che furono obbligatorie, del vaiolo: non credo che possano sortire lo stesso effetto scioccante un ittero da epatite B (ammesso che sia facile trovarne, di immagini di itteri pediatrici da epatite B) o l’immagine di eritema sul palato da tossina difterica. Però, a questo punto, la domanda è invevitabile: possono delle immagini anacronistiche essere sufficientemente scioccanti? Sì, certo, il messaggio potrebbe essere, nel caso specifico della polio o del vaiolo, “Affinché non ritorni”: ma è sufficientemente “forte”, a livello mediatico, da sortire l’effetto desiderato? Al di là del fatto che il secondo è debellato, eradicato a livello mondiale, e quindi si aggiungerebbe anche una dimensione ipotetica, io credo di no. Attingendo alle vaccinazioni facoltative secondo il piano nazionale: è sufficientemente scioccante un eritema da morbillo? Un volto che tossisce da pertosse? Una persona stesa a letto con la febbre da tetano? O bisogna attingere alle complicanze, per cui a quel punto il nesso con la causa scatenante diventa concettualmente complesso, di difficile interpretazione? Credo, al contrario, che utilizzare questa forma comunicativa non faccia altro che prestare il fianco alla “falange estremista” degli oppositori ai vaccini, che già può far leva sulle immagini (queste sì, a volte, scioccanti) degli effetti collaterali da vaccinazioni (queste, volenti o nolenti, tutt’altro che anacronistiche).

Le perplessità più grandi mi nascono leggendo alcuni interventi (di cui non riporto gli autori, ma è facile reperirli nel testo originale), che rappresentano le motivazioni che portano alla proposta. «Diffondere informazioni correttive per convincere a vaccinare è efficace con gli esitanti ma non con gli antivaccinisti radicali, che, presi dalla difesa delle proprie opinioni, non ascolteranno. È più utile ed efficace sostituire i (falsi) timori verso i vaccini con la paura (reale) dei rischi correlati alle malattie». Considerazione spicciola, senza essere necessariamente “filosofo della scienza” come l’autore dell’intervento: nascondere un problema non aiuta a risolverlo. I timori sono timori, che siano a ragion veduta o non (e qualunque sia la loro direzione). I timori nei confronti dei rischi non sono meno giustificati nei confronti della malattia. È davvero efficace, a livello di comunicazione mediatica, affossarli? Stigmatizzarli e relegarli alla voce “complotto”?
La mia sensazione è che la chiave della proposta, di tutto il convegno, stia nel punto di vista motivato dai due interventi successivi. Il primo: «I genitori non hanno una reale percezione del rischio: le malattie infettive non fanno più paura, perché, grazie alle vaccinazioni, sono meno diffuse di un tempo. E invece non dobbiamo abbassare la guardia, perché basta un niente per farle riesplodere. Ma all’irrazionalità delle paure verso i vaccini serve poco contrapporre i nostri freddi numeri e grafici. Dobbiamo combattere le emozioni con le emozioni”. È correttissimo nella premessa, ma mi preoccupa la conclusione, detta per altro da un uomo di scienza di un certo spessore: «combattere le emozioni con le emozioni». Davvero? Davvero la nostra visione della scienza ci ha portato a questo? Davvero non siamo in grado di articolare una forma comunicativa che sia in grado di portare consapevolezza scientifica anziché emozioni? Davvero non siamo in grado di ricondurre la questione vaccinale a un dibattito scientifico serio che non sia pura contrapposizione emotiva tra “complottisti” da una parte e “medici assassini” dall’altra? Può un piano vaccinale nazionale essere basato sull’emotività? Ecco, a me fa davvero paura questo, non le immagini scioccanti che potranno comparire su un qualche gigantografia ai bordi delle strade.

L’ultimo intervento mi fa capire che, però, i partecipanti al convegno si siano dati la risposta da soli: «Il problema di fondo è che in Italia manca una cultura scientifica. La scienza non è democratica: non può essere fondata sulle opinioni ma sulla forza delle dimostrazioni». La premessa, anche in questo caso, è ineccepibile.
Il grave è se manca anche in chi dovrebbe esserne, almeno formalmente, titolare.

19 thoughts on “di vaccini, pubblicità progresso o terrorismo psicologico

  1. Molto interessante. Faccio notare un paio di cose:
    1. le reazioni avverse da vaccino non sono anacronistiche… ma con tutto il rispetto il “bubbone” da vaccinazione (che è uno degli effetti collaterali più frequenti) fa paura esattamente come un eritema da morbillo. Capisco: un’encefalite demielinizzante, invece, fa decisamente più paura, nella sua evoluzione. Ma non meno del tetano;
    2. credo che, se le immagini scioccanti non funzionano, è perché l’amigdala attiva un circuito che è deputato ad una reazione immediata. Non ad una pianificazione a lungo termine;
    3. penso che quella di combattere le emozioni con le emozioni sia una china scivolosa, che serve più ad attirare like che a convincere qualcuno di più a votare.

    Infine: vorrei capire il senso di dire, ancora, che queste vaccinazioni sono obbligatorie. Se qualsiasi genitore, basandosi sul nulla (perché dispiace dirlo, ma le prove che i vaccini facciano più male delle malattie che prevengono sono proprio pochine pochine), può decidere di non vaccinare il proprio figlio senza averne conseguenze di legge… perché si chiamano ancora obbligatorie? A questo punto, togliamo l’obbligo di legge e lasciamo che le persone si accorgano del fatto che il morbillo non è solo qualche simpatica macchiolina rosso sul corpo del loro bimbo. Come campagna emozionale, è forte come quella proposta. Ma, secondo me, è più efficace.

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    • sul punto uno, ci sono due livelli: la percezione (che si basa sul sensazionalismo) e il dato di fatto. riguardo a questo, purtroppo, non esiste un registro degno di tale nome, dato che è inequivocabile che la gamma di reazioni avverse è varia quanto quella delle complicanze. sul due, grazie della interessante precisazione (confidavo in te! 🙂 ). sul tre, concordo: è il sensi del post. sull’infine: vedi punto uno, l’assenza di dati incontrovertibili – e, mi sto convincendo sempre più, molto probabilmente della volontà di cercarli – crea confusione, tanta, pari a quella che accompagna il non-sense dell’obbligatorietà (che, concordo, gestità così è assurda. ma questa è altra questione di cui s’è già parlato altrove)

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  2. Io credo che la conclusione (Il problema di fondo è che in Italia manca una cultura scientifica) la dica tutta: viviamo in un’epoca di ignoranti sapienti, in cui la gente non vuol sentirsi dire cosa sia giusto o cosa non sia giusto. Mia madre lavora in un asilo nido, ogni tanto sente qualche genitore che ha qualche teoria innovativa “noi a casa facciamo così”. Il problema è che combattere tali “esperti fai-da-te” con i dati scientifici è un lavoro lungo e dispendioso. E posso capire il tentare di optare per strade alternative.
    Ma, ahimè, è un grave errore. Sun Tzu non approverebbe di scendere nel campo di battaglia del nemico, che è ciò che mi sembra si stia invece tentando.
    Quale sarà il prossimo passo? Pubblicare su facebook cose tipo “Se non ti vaccini, muori! Gli antivaccinisti non te lo dicono, CONDIVIDI!!!!!”?

    ps: quella della droga è ancora nei miei incubi. Pensare che compariva anche su Topolino. Non so se poi da adulto non mi son fatto di eroina grazie a essa, ma non credo.

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    • concordo con l’analisi, hai reso l’idea perfettamente. al tempo stesso, proprio per non incappare in quell’errore, chi può fornire dati ha il dovere morale, e deve avere l’onestà intellettuale, di perseguire l’obiettivo di creare una cultura scientifica. e ne avremmo le possibilità, questo mi fa una rabbia…
      p.s. a ripensarci, forse invece la pubblicità ha funzionato talmente tanto da rendere un tabù oppioidi e thc anche ad uso terapeutico. oppure è tutta magia vaticana? 😛

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      • Volevo solamente sottolineare che l’argomento vaccinazioni non è “attuale” solamente in Italia, e le famiglie si divino tra pro e contro vaccinazioni anche in altri paesi europei. Poco più di un anno fa abitavo in Austria e mio figlio aveva appena compiuto sei mesi di vita, ed il pediatra ci consigliò vivamente di vaccinare il pargolo, spiegandoci con pazienza che tutte le voci negative che giravano sui vaccini erano una trovata di qualche incompetente sulla questione. In Italia invece abbiamo trovato una certa facilità in qualche pediatra nel voler somministrare antibiotici anche ai più piccoli.

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  3. Battuta: “con questi scienziati non adremmo da nessuna parte” (semicit).

    A parte lo scherzo, mi pare che questa situazione sia un interessante parallelismo con quanto accaduto con la c.d. “Brexit”: i pensieri razionali, specie se a lungo termine, non reggono il confronto con le emozioni e si è tentati dal rispondervi con gli stessi mezzi.
    Posto che anche per le campagne elettorali lo strumento potrebbe funzionare (film “no” docet- rovinando qualche generazione di policiti, ma d’altronde erano gli anni ’80!), vi sono parecchi dubbi su situazioni scientifiche.
    Anche perché, per insistere col parallelismo, meno queste “tragedie” si realizzano (catastrofi economiche / epidemie), più anche lo strumento emozionale perde efficacia… Insomma, non se ne esce!

    E torniamo all’abusato discorso sulla complessità delle conoscenze contemporanee cui ogni persona si deve confrontare. Quindi, sulla necessità da un lato di un linguaggio accessibile ed efficace (spiegare Brexit, spiegare i vaccini…); dall’altra, di una formazione sufficiente a confrontarsi con questi temi (analfabetismo di ritorno).

    Mi pare fosse Don Milani che insisteva su questo punto dell’educazione a linguaggio… gravissimo come non si sia riusciti ad affrontare la questione.

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  4. Condivido le tue riflessioni. A volte poi certe pubblicità progresso sfociano nel macabro e inutilmente. Per anni ho visto polmoni devastati dal fumo e letto scritte mortifere sui pacchetti di sigarette, ma a nulla é contato.

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  5. Sono d’accordo. Non si combattono le emozioni con le emozioni; così facendo non si promuove la conoscenza. Purtroppo in Italia la cultura scientifica è bassa e gode di ancora troppo scarsa fama. Ma la strada non può essere emotiva. I freddi numeri sono l’altra faccia della medaglia della comunicazione volta a spaventare. Credo che di debba lavorare in un’ottica di lungo periodo che promuova sempre più la cultura scientifica. Trasmessa con emozione. Impresa molto difficile…

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    • certo anche una comunicazione fatta di numeri non è facile, ma secondo me a questo tipo di difficoltà se ne aggiunge un’altra, di un altro livello, ancora più sottile: la sindrome da infallibilità. entrambe le posizioni, pro o contro le vaccinazioni, non ammettono contenzioso, non ammettono che tra i numeri che decantano i successi o sbandierano la catastrofe ci possa essere quella sana via di mezzo che caratterizza un qualunque approccio critico in ambito medico. non è concebile il farmaco sicuro al 100%, non è concepibile il vaccino sicuro al 100%: uno shock anafilattico, un evento neurologico avverso sono ovvi, esattamente come può capitare mangiando una fragola. allo stesso modo, una complicanza da morbillo in un soggetto immunodepresso è altrettanto ovvia. dove sta la paura di ammettere la fallibilità della medicina? un approccio critico competente e non emotivo sarebbe in grado di far comprendere rischi e benefici della scelta di vaccinare o non… impresa difficile, ma non impossibile. provarci è un dovere.

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  6. Sulle pubblicità progresso e sull’efficacia delle immagini negative avete già scritto tutto. Mettetevi però nei panni di un genitore che deve vaccinare i propri figli, che non è un sanitario e che si trova di fronte ad una scelta per cui, sia i vaccinisti che gli antivaccinisti non gli forniscono abbastanza informazioni e alla fine gli chiedono solo un atto di fede. A me la gente che ha certezze al 100% e non ha nessun dubbio (e così sono sia i vaccinisti che gli antivaccinisti) non mi tranquillizza per niente.
    Alla fine i genitori, dopo aver sentito tutte le campane, scelgono la soluzione che ritengono la meno peggio e se sbagliano vanno compresi. Ad esempio io a mia figlia ho fatto tutti i vaccini obbligatori tranne il papilloma virus, che era appena uscito, perchè parlando con vari medici, alcuni di loro erano piuttosto perplessi tanto che anche il mio medico di base a suo tempo non lo fece a sua figlia. Ho sbagliato? Forse, ma ho ritenuto di prendere una decisione (per il bene di mia figlia) in base alle informazioni che all’epoca ero riuscito a reperire parlando con i sanitari con cui ero in contatto e leggendo sulla stampa.

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    • eh infatti, marco, è proprio in quei panni che mi metto e penso che, forse, un po’ di chiarezza e un po’ di onestà intellettuale – anziché pubblicità ansiogene – gioverebbero a scienza e società. io trovo che sia un vizio di sostanza più che di forma quella perplessità di cui parli, da parte dei medici nei confronti di un vaccino come l’anti-HPV che sembra sia stato buttato “sul mercato” (leggi: incluso nel piano vaccinale) con la stessa modalità con cui metti un prodotto sul banco del supermercato [per inciso: non fa parte della copertura vaccinale obbligatoria, che consisterebbe al momento di 4 vaccini]

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