La scelta di Vera e Sante, quella di aprire una bottega di riciclo di copertoni di biciclette in un paese in cui tutto farebbe pensare che sia un’impresa insensata, un paese il cui centro storico vive undici mesi di latitanza, ma che al contrario lascia in bocca la bellezza ostinata del provarci, a cambiare dal basso, dai luoghi dimenticati; quei luoghi dove chi offre qualità, come quei geniacci di stampalternativa che stanno lì a centometri dalla loro bottega, non solo sopravvive ma diventa voce imprescindibile dei senza voce.
L’Aquila, le sue pietre pesanti come l’immobilismo di questo paese, il camminare per le sue strade costellate di voragini e di ponteggi targati Marcegaglia, con il pensiero che l’ultima parola che vorresti associare a quelle strade ed a quelle case è “riscostruzione” (ché neanche a Sarajevo dopo la guerra percepimmo la stessa sensazione di vuoto di prospettiva in quelle case traforate dalle granate) e con il corollario di una diatriba irrisolvibile, senza fine e senza senso sul “si sarebbe potuto prevedere che”; quel che rimane in bocca è solo il disgusto per una sequela di immagini imbellettate di ricostruzione di chiese, chiesucce e conventi in mezzo all’assenza quasi totale di investimenti nel lavoro, in quello che sarebbe il motivo di base per restare anche quando la casa ancora non c’è.
Le strade sterrate e sconnesse nel Salento, con le righe bianche della segnaletica sull’asfalto un lontano ricordo oltremodo obnubilato dalle cattedrali nel deserto disegnate sullo sfondo; le case imbiancate a calce solo fino ad altezza occhi, per non disturbare il turismo agostano; ed in bocca, la perplessità delle parole di Luigi, quelle che raccontano “noi non abbiamo fretta, è l’economia della sussistenza che ci impone ritmi diversi dai vostri”.
Di tante ancora negli occhi, tre istantanee di viaggio in un paese strano, che tutto si può dire fuorché non lasci in bocca sapori forti.
Steve Jobs fosse nato in Italia sarebbe stato solo “affamato” . nemmeno “pazzo”.
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vero, vero, verissimo.
mi servi il luogo comune su un piatto d’argento: “ma vuoi mettere come si mangia in italia?!? la cucina italiana, aaaah, la cucina italiana…” 😉
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O anche: tre istantanee di viaggio in un paese forte, che tutto si può dire fuorché non lasci in bocca sapori strani. A te la libera interpretazione della frase.
(Bentornato) 🙂
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sapori strani mi suona bene. paese forte…uuuhm… mah… ecco… 😉
(grazie!)
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Bé, Vera e Sante, gli Aquilani… loro sono forti, per fortuna.
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ah certo! vedi che non avevo mica capito che intendessi questo… sottoscrivo in pieno.
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Tre spaccati di un’ Italia che per fortuna sento ancora tanto vicina. ( ben tornato caro )
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li sento molto vicini anch’io, per tanti motivi.
uno, per altro, ti è (abbastanza) vicino anche geograficamente, chissà che tu non ci sia pure passata da quelle parti, recentemente.
(grazie, e bentornata anche a te. buon settembre)
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L’italia è così belle e piena di brava gente qua e là.
Ma perchè allora, poi, ci frega sempre?
bentornato amm!
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già. è la domanda di fronte a cui sbatti la testa ogni volta…
grazie gra, buon settembre a te!
p.s.1 potrei essere a torino a novembre, nel caso vengo ad assaggiare le prelibatezze!
p.s.2 ma quindi sei ufficialmente su wp?!?!
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1) ma certo, fammi sapere via mail! 😛
2) diciamo di si va…
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l’italia adesso mi sa di quelle conserve che non hanno fatto bene il sottovuoto e sono andate a male. Rischio botulino: altissimo.
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o forse l’hanno fatto fin troppo, che da respirare c’è altro che aria: http://goo.gl/2iabUE
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