ciclofolli, ciclobelli, cicloresistenti

Sembrava ci si volessero mettere tutti quanti gli dei dell’olimpo meteorologico, quest’anno, a volerla fermare, sentendo gli scrosci che alle due della notte precedente picchiettavano le finestre. E invece, su le tapparelle, il sole fa capolino al mattino della domenica, e allora via, si parte, mantelline nella borsa, merende e borracce pronte in un niente, il carrellino per i bimbi agganciato, una gonfiata alle gomme che non si sa mai. Andiamo, ci siamo anche stavolta, non i mille, i duemila delle calde domeniche degli anni passati; stavolta solo i duecento, trecento, forse qualcuno in più, ma è bello pensarsi irriducibili, a scivolare su due ruote tra strade lastricate da papaveri, orgogliosi della propria tenace resistenza alle tormente di questi giorni, e da un tripudio di fiori di robinia, appesi o a ricoprir l’asfalto, a ricordare che nonostante l’apparenza è primavera.
Scivolano, le due ruote, scivolano tra i colori delle bandiere appese alle bici: chi sul manubrio, chi con l’asta dietro al sellino, chi avvolte al collo come mantelli. Scivolano, anche quest’anno, tra i volti che le guidano, con tutta la loro bellezza, volti che in quelle due ruote non vedono solo un mezzo di trasporto ma una rivoluzione che attende, paziente ma caparbia. Scivolano, tra la gente affacciata ai balconi che saluta e sorride complice (per inciso: avete mai visto qualcuno affacciato ad un balcone salutare e sorridere ad una colonna di trecento auto?). Scivolano le due ruote, ognuna curiosa della piccola peculiarità delle altre: il carrellino con i bimbi dentro che stupisce e non mi rassegno a pensare che un giorno sarà normalità anche in questo paese; l’immancabile tandem che viaggia a fianco di una bici che con “cammello” e biciclettina al seguito diventa tale; la scattofisso alla ricerca del minimalismo estremo; la due ruote color bandiera palestinese di Marce, lui che viaggia con Aramis, il tascabile a quattro zampe nella borsa a tracolla. Scivolano le due ruote, tra gli occhi increduli, negli ultimi chilometri, quando a fianco compare di rosso vestito un arzillo novantenne in sella alla sua bicicletta, e basta un attimo a riconoscerne l’essenza: lui, partigiano, e lei, la sua due ruote, il telaio in ferro arrugginito dal tempo ma conservato con amore e passione incondizionati, con il portaoggetti in latta sul portapacchi a sfidare ogni logica di deperibilità dei corpi materiali; lei, la stessa che settant’anni fa solcò strade di resistenza, strade di staffette, il mezzo più imprevedibile, più incontrollabile, più odiato da chi ebbe sotto di sé la pesantezza dei carri armati – lei, che di quella resistenza fu il simbolo; scorrono, a fianco a noi, le sue due ruote; scorre, dento di noi, un po’ di commozione.
Scorrono, le due ruote che sorprendono, quelle con il telaio in bambù, di una bellezza e robustezza che poteva essere solo africana, per resistere all’impervietà di quella terra rossa, per resistere ai dodicimila chilometri di una piccola follia e di un grande progetto che qualche mese fa le ha portate da Lusaka a Londra ed ora a scorrere lì, a fianco a noi.
Scivolano, le due ruote, ed alla fine portano al fiume, e l’arrivo di un unico sciame da quasi cinquanta piccoli nidi è pura bellezza. Eccoli, sono lì ad aspettare, anche quest’anno, i silenziosi e preziosi artefici della bicipace: con loro si festeggia, ci si rilassa, i volti si ritrovano mentre le due ruote riposano sotto gli alberi – quasi si volessero godere la frescura; per i non vegetariani il profumo delle salamelle fa capolino, pretende vino ad innaffiare, e guai a negarglielo. Si festeggia, ed intanto ci si racconta, la musica di sottofondo accompagna storie e progetti di chi ha atteso lo sciame, prendono vita nuove idee di “cittadinanza reatttiva”, proseguono sfide, nascono critical mass (“noi non blocchiamo il traffico, noi siamo il traffico!“).

È tardi, le due ruote richiamano, è ora di riprendere a scivolare e tornare verso casa. Si riparte, veloci, appuntamento all’anno prossimo, lo sciame si riapre mentre il cielo attorno, plumbeo, decide di graziare fino in fondo la bellezza di una giornata di ciclofollie, di ciclobellezze, di cicloresistenza.

lusaka.to.london.bike

31 thoughts on “ciclofolli, ciclobelli, cicloresistenti

  1. quanta bellezza, quanta emozione. E’ questa la rivoluzione! (io voto le ruote palestinesi di Marce, comunque. e la bici in bambù io credo sia diventata la nuova frontiera del radicalchiccismo fichettino, costa tantissimo -hai dato un occhio?-ma va bene così, va bene anche quello, mille volte meglio dissanguarsi per la bici che per il suv!). Viva la bicicletta!

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  2. Ho imparato a odiare i ciclisti quando ho fatto il cammino di Santiago. Ti arrivavano arroganti da dietro silenziosi come cecchini, facendosi largo a suon di scampanellii disgustosi e lisciandoti per un pelo. Li vedevo scomparire veloci dietro le curve, fieri della loro libertà meccanica, mentre io rimanevo indietro a mangiare la loro polvere, la polvere fastidiosa di chi è convinto che basti correre per superarti. Niente di personale. Ognuno tifa le proprie passioni.

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    • a me questa cosa dei cinquanta grammi in meno fa ridere. certo, ad andare in giro con o senza carrellino con pargoli dentro, quindi con quasi 35-40 chili di differenza, te ne accorgi. ma quei cinquanta grammi di differenza li vedi davvero solo nel portafoglio…

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  3. Noooooo! Ci siete andati e non mi avete detto nulla! Cattivi!
    Ho cercato in giro qualcuno che ci andasse, perchè da sola con panza e Guu non me la sentivo e non ho trovato nessuno.. peccato!
    L’anno prossimo veniamo anche noi!!!!
    Sul carrellino non dire una parola, Max lo vuole da mesi, io glielo impedisco perchè ho paura che ci falcino via la prole, non abituati al seguito della bici. Voi che modello avete preso? Noi ne abbiamo trovato uno costosissimo.. anche questo ci è sembrato un bel freno alla sua diffusione..

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